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Il governo in scatola della Somalia

testo di Roberto Bongiorni illustrazione di Antonello Silverini

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Discutono di politica, progettano servizi in fibra ottica e impianti sportivi, pregano. Sono solerti,
i ministri, ma per ora impotenti: oltre il muro dell'Hotel Sahafi di Mogadiscio in cui risiedono regna il caos


La fibra ottica in Somalia? Ministro, ne è sicuro? «E perché no? Una volta che il Governo controllerà effettivamente il territorio...». Abdirazak Osman Jurile, ministro soma-lo per le Poste e le telecomunicazioni, è deciso. «È solo questione di tempo», precisa nel suo fluente italiano. Poi spazia sugli altri grandi progetti; dalla tassazione (in un pa-ese dove non esistono imposte da almeno vent'anni), alla regolamentazione dello spazio aereo somalo, fino alle tariffe telefoniche e al sistema centralizzato postale. Jurile ha una conoscenza approfondita del settore. Purtroppo sembra trascurare un dettaglio: il raggio d'azione dei progetti, esposti così bene nella sua stanza, si infrange trenta metri più in là, contro le grandi mura bianche dell'Hotel Sahafi, in cui vive rinchiuso. A Mogadiscio, dietro quelle mura protette all'esterno da decine di guardie armate, si trova una sorta di appendice del governo somalo. Altro dettaglio da non trascurare: il Governo c'è, lo Stato no. Perché fuori è solo caos e anarchia. Ed è per questo che dei trentasei ministri del nuovo Governo somalo di transizione molti dormono qui, all'Hotel Sahafi, qui pranzano, qui studiano, qualcuno gioca a scacchi, qualcun altro si dedica anche al fitness.
Nel cuore del "chilometro quattro", quartiere centrale in teoria controllato dalle forze governative, il Sahafi Hotel è sempre stato l'albergo che ospitava i giornalisti stranieri. Un tempo. Oggi Mogadiscio è forse l'unica città al mondo dove di occidentali - siano operatori umanitari, diplomatici o reporter - non ve n'è neanche uno. Troppo pericoloso.
Al suo interno uomini elegantemente vestiti, con la barba curata, si aggirano nei corridoi, sorseggiano il tè in cortile, intrattengono conversazioni nel salone al pian terreno, ricoperto di tappeti, dove si entra scalzi. Sono tutti cordiali e loquaci. L'Hotel Sahafi è il loro microcosmo. Non è una struttura a cinque stelle. Qualche piastrella rotta in bagno c'è e le tubature sono spesso arrugginite. Ma il fascino di questo vecchio edificio non ha eguali.
L'Hotel è il paradigma della situazione in cui versa la Somalia: lo Stato fantasma, in balia della guerra civile e dei signori della guerra dal lontano 1991, anno in cui fu ro-vesciato il dittatore Siad Barre. Da allora tanti governi improvvisati, tutti falliti.
L'ultimo esperimento, il quindicesimo, è stato creato a gennaio con il benestare dell'Occidente e affidato ai membri delle Corti islamiche. Vale a dire il gruppo musulmano che nel giugno del 2006 aveva sconfitto i signori della guerra, governato per sei mesi e riportato a Mogadiscio un embrione di stabilità, per poi essere estromesso dall'esercito etiope.
Sono tutti molto religiosi. Più volte al giorno pregano nella moschea allestita in cortile per poi rientrare nelle loro stanze, dove c'è un sistema wireless, che tutto sommato funziona. Ma la sorpresa arriva salendo le scale fino all'ultimo piano dell'hotel, dove si trova uno stanzone lungo cinquanta metri. Una volta abituati gli occhi all'oscurità, tra la luce che filtra dalle feritoie di cemento si scorgono diversi ministri e consiglieri, in abbigliamento sportivo, ma sempre conforme alle regole, percorrere la lunghezza del salone decine di volte. Avanti e indietro, avanti e indietro, senza sosta. Parlano, parlano soprattutto di politica, dello Stato che ancora non c'è ma che vogliono inventare. Qualcuno improvvisa esercizi ginnici. I loro discorsi sono interrotti spesso dalle raffiche di mitra. Fuori dalle mura dell'Hotel Sahafi i combattimenti tra i ribelli islamici (Shebaab) e le for-ze governative continuano. Poco importa. I ministri non si scompongono. Affinano l'orecchio per valutare la distanza dei combattimenti e poi proseguono. Hanno tutti preso con solennità il loro compito. Sembra paradossale ma il ministro del Turismo progetta una Somalia aperta agli stranieri. Quello del Petrolio studia come esplorare i giacimenti in un paese dove non è mai stata estratta una goccia di greggio. Il ministro della Pesca dibatte sulle ricche acque, infestate da indomabili pirati. E che dire del robusto ministro dello Sport? Con la mente disegna le future strutture per l'educazione fisica in uno stato in guerra dove i profughi interni sono quasi un milione e mezzo.
Questa è la Somalia di oggi. In quella di domani c'è da augurarsi che i ministri possano quanto meno esercitare le loro funzioni in sedi appropriate invece che tra le mura dell'Hotel Sahafi.

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